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Privacy: alcune osservazioni e specifiche terminologiche


martedì 23 luglio 2019
Avv. Gianni Dell’ Aiuto





Privacy, protezione dati, riservatezza, segreto professionale: ma siamo sicuri di usare questi termini nella loro corretta accezione oppure qualche volta sarebbe meglio fare più attenzione? Il parlare comune spesso è nemico della corretta conoscenza e porta a confusione. Dobbiamo purtroppo dare atto, forse colpa, a molti giornalisti della loro carenza nella conoscenza del linguaggio tecnico-giuridico, nonché delle normative vigenti in una materia peculiare, nella quale non è ammesso l’uso di sinonimi. Speriamo che si tratti solo del tentativo di rendere più semplice la lettura a chi non ha conoscenze tecniche ma, purtroppo, in una materia sensibile ed attuale come la privacy, sarebbe necessaria una maggiore attenzione. Anche il legislatore spesso non è esente da colpe. Tutto ciò porta molti, anche alcuni addetti ai lavori, all’uso di una terminologia che può trarre in inganno, con conseguenze a volte gravi ai fini dell’informazione e dell’approccio a un problema. Logicamente tutto ciò, si riflette anche sugli addetti ai lavori che già devono combattere con la ritrosia dei clienti e dei destinatari delle norme.

Il concetto di Privacy (che in italiano è perfettamente descritto dalla parola “riservatezza”) fa il suo ingresso nei testi di diritto nel 1890, quando i giuristi Warren e Brandeis pubblicano un articolo, non a caso intitolato “The right of Privacy” che si scaglia contro l’invadenza dei giornalisti che pubblicavano, spacciandole per notizie, pettegolezzi sulle vicende cittadine accompagnandoli da fotografie. La privacy pertanto è una disciplina che, seppur nata con precipuo riferimento al giornalismo, riguarda tutti. 

Il concetto di Privacy, nella sua corretta interpretazione di diritto alla riservatezza, nulla ha a che vedere con la disciplina del trattamento dati personali. La cosiddetta Legge Privacy e l’attuale GDPR hanno destinatari ben precisi e identificati, vale a dire coloro che entrano nella disponibilità di dati personali altrui e sono soggetti ad una rigorosa disciplina già dalla fase della raccolta e nelle successive attività di trattamento, conservazione e distruzione.

La sfera personale trova forme di tutela da parte dell’ordinamento giuridico e, oggi in Italia, con una norma inserita nel 2009 nel Codice Penale, l’articolo 612 bis, viene punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, "minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita". Sono anche previsti aumenti di pena se il comportamento viene commesso da un ex (fidanzato, marito, partner) nonché in caso che lo strumento utilizzato sia telematico o comunque informatico e nell’ipotesi che la vittima sia un minore. È quello che definiamo stalking, vale a dire una grave e reiterata violazione della privacy.

Questa norma è volta a tutelare, oltre che la vittima, la privacy nel suo più stretto concetto e nella definizione che le compete di riservatezza della sfera personale, che non può essere oggetto di intromissioni da parte di nessuno. L’articolo 612 bis tutela da attacchi alla sfera personale della vittima, punendo ogni forma di intromissione: dalle telefonate all’invio di messaggi e mail, fino ad ogni altra interferenza personale come i pedinamenti. Purtroppo la cronaca è piena di vicende simili e, possiamo esserne certi, è altissimo il numero di episodi che non vengono denunciati. Le norme penali in materia di privacy e stalking nulla hanno a che vedere con il trattamento dati personali di cui al GDPR, né tantomeno con la legge sulla privacy: la ormai quasi superata 196/2003.

Purtroppo in una delle poche occasioni in cui l’uso della terminologia straniera ben poteva essere evitato, in un inopportuno slancio di esterofilia, è stata istituita la figura del garante della privacy e non di quello alla protezione dati.  Continueremo pertanto, nel parlare quotidiano, ad usare il termine privacy, ma con una maggiore cautela, anche come forma di attenzione verso chi ci ascolta e può fraintendere.




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