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La protezione dei dati nel mondo del metaverso


lunedì 24 gennaio 2022
di Gianni Dell’Aiuto – Avvocato





Forse non tutti coloro che hanno visto il video in cui Mark Zuckerberg annuncia il cambiamento del nome di Facebook in Meta, si sono resi immediatamente conto della portata di questa apparentemente formale inezia giuridica. Molte società del resto cambiano nome nel corso degli anni per adattarlo a nuove dinamiche di mercato o ai mutati assetti strutturali delle proprietà. Ma quello di Zuckerberg è di una portata che va oltre quelle formali: è l’annuncio di un nuovo futuro. Il metaverso.

 



Il termine Metaverso è stato utilizzato per la prima volta dallo scrittore Neal Stephenson nel romanzo di fantascienza Snow Crash del 1992 e, in meno di trent’anni, è diventato realtà. Siamo lontani dall’epoca in cui i mondi futuribili immaginati da Jules Verne furono realizzati un secolo dopo. Oggi ogni immagine di fantasia può tradursi in tempi brevissimi in realtà e la tecnologia base dell’intelligenza artificiale ha stravolto dinamiche tradizionali. Ne sa qualcosa, ad esempio, il mondo del turismo in cui gli alberghi completamente automatizzati, dalla prenotazione fino al check-out, sono già una realtà che peraltro incontra zoccoli duri di resistenza in chi rivendica l’aspetto umano dell’ospitalità.

Ma ancora non è chiaro che cosa esattamente sia questa nuova “cosa” che è il futuro del digitale ma che, è stato giustamente fatto notare, non esiste fisicamente. È un universo nell’universo (“meta” da all’interno e “verso” abbreviazione di universo); un universo parallelo come quello di un videogioco e, in tal senso, si considerano metaverso i cosiddetti Massive Multiplier Online Role-Playing Game (MMORPG), in cui più giocatori giocano in contemporanea, o le chat tridimensionali. Tutte situazioni in cui si entra più facilmente che non nel darkweb, in quanto non esistono sbarramenti o firewall ai suoi ingressi per poi muoversi in questa strana realtà con visori, guanti, esoscheletri (qualcuno ricorda i fumetti di Nathan Never?).

In questo mondo si muoverà quindi un alter ego di ciascuno di noi, compresi bambini e adolescenti, magari in una versione da gioco creata dai loro stessi genitori che, ad oggi, non hanno ancora capito quanto sia pericoloso dare in pasto alla rete le foto dei loro figli (il digital kidnapping è un pericolo più reale di quanto non si creda).

Per approfondire > I rischi della rete: furto di identità e digital kidnapping

In tutto ciò come la metteremo con la protezione del dato personale?

Stiamo infatti parlando non di una semplice pagina web che raccoglie le informazioni strettamente necessarie ad acquistare un libro o gli attrezzi della palestra, ma di un ambiente in cui letteralmente portiamo tutti noi stessi, il nostro intero corpo e, non è esagerazione, anche i nostri pensieri. Ogni gesto che noi compiamo è una manifestazione della nostra personalità che viene messa a disposizione non solo di altri utenti della rete con cui ci troveremo ad interagire e delle pagine da cui accederemo al mondo virtuale, ma anche a tutte le altre porte di accesso che permettono l’ingresso degli altri utenti.

Potremo trovarci quindi con più utenti in una sfida a qualsiasi gioco non più in video, ma anche reale, o a fare shopping nel negozio virtuale allestito dal supermercato sotto casa. Quanti dati personali porteremo e in mano a chi andranno? E se il metaverso venisse applicato anche ai gabinetti medici e agli ospedali? La telemedicina non è un’ipotesi. Alla prima domanda è facile da rispondere: daremo tutto di noi. Alla seconda il timore è quello che la risposta esatta sia “a tutti coloro che operano in qualsiasi modo in rete.” Scenario veramente da Grande Fratello?


In ogni caso non mancano le applicazioni pratiche: una coppia indiana bloccata dal lockdown per il Covid nella regione di appartenenza ha scelto di sposarsi nel metaverso, mettendo come sfondo virtuale il mondo di Harry Potter e invitando, tra gli altri, il padre della sposa, morto poco prima, che è stato presente con il proprio avatar. Chissà come si procederà con le trascrizioni o se verrà chiamato il giudice virtuale creato già in Cina per sancire il (non augurato) divorzio.

Si tratta quindi di una realtà con la quale tecnici e giuristi non possono non confrontarsi fin da adesso ma anche, forse, l’occasione per riflettere su un diritto globale della rete per impedirne il controllo assoluto a pochi che lo faranno disponendo dei dati di tutti i naviganti: vale a dire dell’umanità.




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