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martedì 5 settembre 2023
di Avv. Gianni Dell'Aiuto
Con provvedimento del 23 Agosto, in pieno periodo estivo e nell’immediatezza della diffusione della notizia, il Garante per la protezione dei Dati Personali è intervenuto, per quanto di propria competenza, sui tristi fatti di Palermo a tutela della ragazza vittima di una violenza di gruppo. È da notare che, agendo nella sfera dei propri poteri, è intervenuto nella persona del proprio Presidente Stanzione senza una preventiva convocazione formale dell’intero Ufficio. L’urgenza e la rilevanza del caso giustificano questo tipo di procedimento.
Il Garante ha preso atto dalle notizie riportate dalla stampa che sulla piattaforma Telegram circolava un video di quanto avvenuto a Palermo nella notte tra il 6 ed il 7 Luglio su almeno due chat verosimilmente riconducibili ad almeno uno degli indagati. Altresì, l’organo di vigilanza rilevava come numerosi utenti avrebbero richiesto la condivisone del video girato da una delle persone indagate con il proprio telefono cellulare giungendo ad offrire corrispettivi in denaro. Nel provvedimento, inoltre, da atto di come verosimilmente potessero circolare in rete foto del volto della vittima.
In ogni caso, dal video, quest’ultima sarebbe quantomeno riconoscibile. Pertanto, pur prendendo atto che la piattaforma che gestisce Telegram e la società che la controlla non hanno una organizzazione né una forma di stabilimento in Europa, ha ritenuto necessario intervenire.
Ricordiamo che Telegram è di proprietà e gestito da Telegram LLC, una società equivalente alle nostre SRL (Società a Responsabilità Limitata) con sede a Dubai fondata dall'imprenditore russo Pavel Durov e al fratello Nikolaj e, già nel 2020 aveva oltre cinquecento milioni di utenti al mese. Un potenziale pubblico infinito che potrebbe quindi giungere nella disponibilità del video. Inoltre non deve passare inosservato che Telegram è il sistema di messaggeria e condivisione preferito per la condivisione di materiale pedo-pornografico e, per questo motivo, è stata oggetto di ampie critiche.
Il Garante ha quindi rilevato la necessità di garantire la riservatezza della già persona colpita nella propria persona dall’episodio di violenza e stia cercando di evitarle un ulteriore pregiudizio connesso alla possibile diffusione di dati idonei ad identificarla, ancorché indirettamente, e in violazione delle esigenze di tutela della dignità della stessa.
In considerazione di ciò, richiamando l’art. 58, par 2, lett. a), del GDPR e dell’art. 154, comma 1, lett. f), del Codice, ha emanato un provvedimento con il quale avverte Telegram FZ-LLC, quale gestore della piattaforma Telegram.org, che l’eventuale diffusione dei dati personali della vittima, ed in particolare il video ben può configurare una violazione delle disposizioni del Regolamento, con tutte le conseguenze sanzionatorie che ne deriverebbero. Ovviamente in questa fase sarebbe stato difficile emanare un diverso tipo di provvedimento ma, in ogni caso, oltre alla piattaforma, destinatari del messaggio devono essere considerati tutti gli utenti che hanno espressamente richiesto la condivisione delle immagini.
Sul punto è opportuno riportare il testo dell’articolo 612-ter del codice penale (cosiddetto rato di Revenge Porn), che si ritiene opportuno riportare nella sua integralità:
“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000.”La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.
La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici.
La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio".
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