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Telemarketing: la Cassazione blocca definitivamente le iniziative di recupero del consenso. Respinto il ricorso di TIM


mercoledì 28 aprile 2021
di GDPRlab.it



 

Qualche giorno fa la Cassazione ha confermato il divieto, già espresso dal Garante, alla prosecuzione della campagna cosiddetta di "recupero del consenso" da parte di Tim. L'iniziativa era volta a contattare quei clienti che avevano espresso in precedenza la volontà di non essere contattati telefonicamente per finalità promozionali, al fine di recuperare il consenso al trattamento dei loro dati. Secondo la cassazione infatti, “una comunicazione telefonica finalizzata a ottenere il consenso per fini di marketing, da chi l’abbia precedentemente negato, è essa stessa una comunicazione commerciale“.

La sentenza, la numero 1101 della Prima sezione civile della Corte suprema, fa seguito al ricorso dei legali di TIM contro una pronuncia del Tribunale di Milano (5 Maggio 2017) che aveva ribadito la legittimità del divieto emesso dal Garante nel lontano 2016 ”all’ulteriore trattamento per finalità di marketing dei dati personali riferiti alle utenze oggetto della campagna”. Il Tribunale specificava come una tale attività andasse a "vanificare la volontà degli interessati" che già avevano negato il consenso. La campagna, equiparata per il Tribunale ad una campagna di marketing, si sarebbe svolta in due diverse fasi, una prima telefonata per riacquisire il consenso negato e una seconda per l'attività di promozione vera e propria. Ma il Tribunale, e la Cassazione ha confermato, ha sottolineato come le finalità di acquisizione del consenso e le finalità di marketing siano, in questo caso, inscinidibili. Il Tribunale di Milano aveva quindi sentienziato che “doveva essere inibita l’utilizzazione dei consensi comunque ottenuti, in quanto illecitamente acquisiti sulla base di un trattamento illecito di dati personali”.

La conferma della Cassazione
Al ricorso di TIM la Cassazione ha opposto le stesse motivazioni già espresse dal Garante e quindi dal Tribunale di Milano, aggiungendo che il divieto di trattamento dei dati a finalità di marketing resta valido anche per quei clienti che hanno poi prestato il loro consenso, trattandosi la telefonata stessa di recupero del consenso come un trattamento illegittimo dei dati: il consenso espresso in corso della telefonata di recupero è cioè da vedersi come originato da un trattamento illegittimo dei dati.

I Giudici hanno rilevato come, nell'eventualità questa campagna fosse stata ritenuta legittima, diverrebbe inutile l'iscrizione di una utenza nel Registro delle Pubbliche Opposizioni. Ciò non significa che i clienti non possano decidere di cambiare idea, revocando il dissenso espresso, ma tale cambiamento deve avvenire sono "nell’ambito di iniziative che li vedano protagonisti” ad esempio, come già specificato dal tribunale di Milano, mediante un contatto col numero 119.

Il Garante conferma la linea dura contro i call center molesti
La sentenza della Cassazione arriva contestualmente all'emanazione di ulteriori sanzioni da parte del Garante contro altre tre società di call center per telemarketing selvaggio. A tutte e tre le società non sono state imposte soltanto ammende pecuniare, ma anche precise previsioni: l'obbligo di rispettare la volontà degli utenti di non essere disturbati, il collegamento necessario tra una telefonata di marketing e il preventivo consenso specifico espresso dall'utente e un insieme di misure sia tecniche che organizzative volte al rispetto della privacy degli utenti e della sicurezza dei loro dati.

C'è anche un tema specifico che il Garante ha voluto affrontare con queste sanzioni, ovvero il tema delle cosiddette "utenze fuori lista". Tutti e tre i call center infatti facevano uso di numeri telefonici non inclusi nelle liste ufficiali fornite dal committente (le utenze fuori lista). La maggior parte di queste utenze appartenevano a utenti che non avevano fornito un consenso specifico o libero o, peggio, che si erano appositamente iscritti al Registro delle Opposizioni. L'evidenza, emersa nel corso delle istruttorie, che addirittura alcuni utenti avevano espresso più volte e ribadito la volontà di non essere contattati ma si trovavano comunque bersagliati di chiamate è stata vista dal Garante come una ulteriore aggravante, ben tenuta in considerazione al momento di valutare l'ammontare dell'ammenda. Insieme all'ammenda è giunto anche, immancabile, il divieto di utilizzo ulteriore a fini di marketing di dati trattati illecitamente.




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