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Smart working e privacy del lavoratore: che cosa dice la normativa


mercoledì 11 dicembre 2019
Dott.ssa Silvia Matteucci





Lo smart working è una modalità di esecuzione della prestazione lavorativa introdotta dall’art. 18 della L. n. 81/2017 con la quale è stabilito che, attraverso un accordo fra datore di lavoro e lavoratore subordinato, è possibile rendere la prestazione oggetto del contratto di lavoro subordinato in luoghi e tempi diversi dai locali aziendali. Con il medesimo accordo, le parti possono stabilire che per realizzare la prestazione fuori dai locali aziendali (esempio da casa), siano utilizzati determinati strumenti tecnologici, del cui funzionamento è responsabile il datore di lavoro.

All’interno di tale accordo il datore di lavoro dovrà, ai sensi della normativa sopra richiamata e obbligatoriamente per iscritto, disciplinare l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno, indicando anche quali siano le condizioni affinché:

  • sia possibile esercitare il potere direttivo;
  • quali strumenti debbano essere impiegati dal lavoratore per rendere la prestazione;
  • i tempi di riposo, le misure tecniche e organizzative che permettono un’effettiva disconnessione intellettuale del lavoratore dagli strumenti tecnologici (che ne consentono la reperibilità);
  • indicare la disciplina del potere di controllo sulla prestazione resa in smart working (in accordo con le disposizioni di cui all’art. 4 dello statuto dei lavoratori);
  • indicare le condotte che nell’ambito delle prestazioni in smart working possano dar luogo a sanzioni disciplinari.

Il potere di controllo datoriale resta sostanzialmente un diritto invariato anche quando la prestazione è resa in modalità agile, ma comunque nei limiti degli accordi intervenuti fra le parti e della normativa in materia, i provvedimenti e linee guida del Garante, nonché delle eventuali disposizioni stabilite dalla contrattazione collettiva. Non si deve dimenticare che l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori vieta i controlli a distanza sui lavoratori, salvo che per determinate esigenze e previo accordo sindacale o rilascio di autorizzazione amministrativa. 

La stessa norma però precisa, al comma 2, che tali accordi e autorizzazioni non sono richiesti per gli strumenti utilizzati dal lavoratore per “rendere la prestazione lavorativa” e per gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. L’ultimo comma dell’articolo, appena richiamato, precisa infine che le informazioni raccolte tramite gli strumenti di lavoro possono essere utilizzate, per le finalità connesse al rapporto (fra cui le sanzioni disciplinari), soltanto previa adeguata informazione del loro funzionamento al lavoratore e nel rispetto della normativa in materia di privacy, quindi previa informativa ex art 13 del GDPR.

In sede di accordo, circa le modalità di prestazione, il lavoratore dovrà ricevere indicazione degli eventuali sistemi di monitoraggio che siano installati sul suo PC e le eventuali modalità di controllo, oltre alle informazioni per la tutela della privacy. Difatti, l’idonea informativa permette al lavoratore di essere informato e al datore di lavoro di poter agire in sede disciplinare se del caso.

Infine, gli strumenti di cui al comma 2 dell’art.4, per quanto esenti dal vaglio sindacale o amministrativo, non permettono al datore di lavoro di controllare indiscriminatamente l’attività del lavoratore incontrando il potere datoriale, in ogni caso, il limite della libertà, dignità e del diritto alla privacy del lavoratore. Il trattamento di dati personali dovrà sempre ispirarsi ai principi di correttezza, pertinenza e non eccedenza dettati dalla normativa privacy.

È bene evidenziare che non tutti i software sono da considerarsi vietati in quanto alcuni possono essere considerati strumenti di lavoro alla stregua del pc, ma sarà opportuno ogni volta procedere ad una valutazione caso per caso. Un esempio di applicativo necessario a rendere la prestazione è la posta elettronica: con il provvedimento 303/2016 il Garante, richiamando il comunicato del Ministro del Lavoro del 18.6.2015, ha dichiarato che possono essere considerati strumenti per rendere la prestazione lavorativa i servizi, software e applicativi strettamente funzionali a rendere la prestazione stessa (ad esempio il servizio di posta elettronica offerto ai dipendenti); il collegamento a Internet, i filtraggi antivirus e via dicendo.




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