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Tra voglia di privacy e informative vaghe


giovedì 2 luglio 2020
di Avv.Gianni Dell'Aiuto





Nelle settimane passate tra stampa e social abbiamo letto decisamente di tutto e di più sulla privacy, la protezione dati e le interferenze di non ben specificati poteri o potenti; della app Immuni che, a seconda dei punti di vista, monitora le persone o ruba dati illegalmente. Non parliamo di microchip, veri o presunti, che si immetterebbero sotto la pelle con i vaccini o le onde 5G; già se ne potrebbe trarre un’abbondante letteratura dove si troverà tutto e il contrario di tutto. Da questa complessa situazione, ciò che emerge, in ogni caso, è una quasi totale inconsapevolezza dell’argomento, per non parlare proprio di ignoranza vera e propria e un grande caos tra privacy e protezione dei dati che, non dovremmo ricordarlo ma appare opportuno, sono due concetti ben diversi anche se purtroppo usati spesso come sinonimi.

In ogni caso, se da un lato tutti vorrebbero essere protetti, dall’altro chi naviga in rete di tutto si preoccupa fuorché di tutelare se stesso. La prova? Se veramente una persona tenesse alla propria riservatezza e si premurasse di leggere le informative sul trattamento dei propri dati, difficilmente farebbe l’ultimo click sull’autorizzazione per continuare a navigare.

Tante domande dovrebbero infatti farsi tutti coloro che, leggendo l’informativa di Facebook, “scoprono” che raccoglie informazioni su "come usi i nostri Prodotti, quali tipi di contenuti visualizzi o con cui interagisci", funzioni usate, azioni intraprese, persone o account con cui interagisci e ora, frequenza e durata delle attività. Ad esempio, "registriamo momento e durata dell'ultimo uso dei nostri Prodotti, nonché post, video e altri contenuti visualizzati negli stessi. Raccogliamo informazioni anche sull'uso delle nostre funzioni, come la fotocamera.” Un simpatico modo di dire che ogni singolo click sul popolare social viene monitorato e analizzato. Per non dire della parte in cui veniamo informati che vengono raccolte informazioni anche sulle nostre transazioni: come sarebbe altrimenti possibile ricevere con puntuale tempestività l’offerta di un albero e ristorante a Parigi o Londra subito dopo aver prenotato il volo? Ed è solo uno degli esempi che possiamo fare.

Chi volesse comunque pensare a che fine fanno i propri dati, magari dopo essersi chiesto in mano a chi vanno, dovrebbe restare attenzione a dove sono collocati i server destinati a custodirli. E’ sufficiente la generica indicazione che si trovano nello spazio dell’Unione Europea? Prescindendo da una sostanziale impossibilità di verificarlo non possiamo che restare con il dubbio.

In una recente intervista il Garante per la Privacy ha lanciato, se mai ce ne fosse stato bisogno, l’ennesimo allarme in merito a TikTok, il social che spopola tra i giovanissimi, in particolare minorenni. Soro ha parlato del problema dell’immagazzinamento e gestione di quantità incalcolabili di dati da parte di aziende più potenti di Stati, ricchissime per il valore proprio dei dati di cui vengono in possesso. Ma la cosa che più dovrebbe allarmare specialmente i genitori dei giovani utenti, è l’informativa del sito che, girando un po’ intorno alla terminologia del GDPR e senza mai menzionarlo come viceversa dovrebbe, rende edotti che ogni dato raccolto, diretto e indiretto, e quindi le interazioni con i contatti, sarà tranquillamente conservato e condiviso con tutti i loro partner in qualsiasi parte del globo. Inutile, a questo punto, proteggere i propri dati se interagiamo spesso con chi usa TikTok.

Quando potrà migliorare questa situazione? Domanda a cui è impossibile dare una risposta, perlomeno fino a quando noi stessi non saremo più attenti. Intanto giunge la notizia che il Garante ha pesantemente sanzionato Unicredit per un data breach causato da personale di un’azienda terza. Forse quando inizieranno a fioccare le sanzioni e perlomeno le aziende cureranno le loro privacy policy, qualcosa si muoverà.

 




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