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Lavorare da casa è il futuro. Ma i dati?


lunedì 18 maggio 2020
Avv. Gianni Dell’Aiuto



 

La prima è stata Twitter, ma tutte le altre grandi aziende del Web è verosimile che, a breve, seguano l’esempio: da oggi si potrà lavorare esclusivamente da casa. Andare in ufficio è un’attività destinata soltanto a coloro che vorranno ancora farlo e per coloro che non potranno farne assolutamente a meno, ma le aziende, piano piano, lo scoraggeranno. L’emergenza Coronavirus ha portato all’attenzione di tutti lo smart working ed è verosimile che molte aziende continueranno ad utilizzare questo sistema anche una volta terminata la pandemia prendendo esempio da Twitter: meno costi per spazi, trasporti, pasti fuori casa, la possibilità di gestire al meglio il proprio tempo e magari per la famiglia.

Dovrà cambiare non solo l’approccio ma anche, probabilmente, una mentalità radicata e che prende le mosse dall’inizio della prima rivoluzione industriale con l’orario di lavoro stereotipato 8.00 - 17.00. Lavorare h24? Quello che è probabilmente il sogno di qualche imprenditore o avvocato di fatturare l’intera giornata, potrebbe anche diventare realtà. Del resto esistono multinazionali presenti in tutti i continenti che non chiudono mai, ma non è anche quello che stanno già facendo tutti gli operatori di internet che è un negozio sempre aperto?

Devono però essere tenute presenti le criticità che si incontrano in materia e che derivano da un quadro normativo non esaustivo ma anche, oggi più che mai, la questione della protezione dei dati. Inevitabile oltretutto che questi due aspetti si vadano ad intrecciare.

Da un lato è verosimile ed auspicabile che il legislatore prenda atto del nuovo contesto e provveda a rivedere, integrare e implementare la vigente normativa che muove ancora dallo Statuto dei Lavoratori del 1970. Era un’epoca in cui internet e le forme di controllo a distanza erano ben diverse da quelle odierne: oggi il controllo del lavoro da remoto è insito nell’attività oggetto della prestazione. Come è pensabile che un datore non possa avere il controllo dell’attività da remoto che è l’oggetto dell’obbligazione nei confronti del cliente ultimo o che deve essere inserita nei server aziendali? Il potere di controllo da remoto di sostanzia in una verifica dell’esecuzione. Ricordiamoci che parliamo, del resto, solo di chi opera con un computer o altro strumento informatico da casa o altro luogo, non certo di chi svolge attività manuali.

Ed invero, analizzando bene le modalità di esecuzione del lavoro, si tratta “solo” di un problema di svolgimento dello stesso da un luogo diverso del tradizionale ufficio e demandato alla scelta del lavoratore. La modifica del 2015 sull’art. 4 dello Statuto, ancorché importante, potrebbe oggi essere insufficiente se non addirittura già anacronistica: lo strumento di controllo è lo stesso strumento di lavoro, indispensabile al lavoratore. Restano invece a totale carico del datore di lavoro tutti gli obblighi correlati alla sua funzione e posizione che, ricordiamolo, non sono solo quelli salariali e previdenziali, ma anche quelli connessi alla sicurezza del luogo di lavoro e, oggi, in particolare, per quanto riguarda il trattamento dati, la loro protezione e l’accertamento di una corretta gestione da parte del lavoratore.

Quanti dati personali, magari sensibili, sono portati al di fuori delle sedi aziendali? Quante reti non protette o non verificate permetteranno l’accesso a server e data base? Da quali terminali potranno collegarsi i lavoratori? E chi altri vi avrà accesso dalla loro abitazione? Sono domande che i Titolari dei Trattamenti devono porsi e pensare alla formazione del personale. Ci siamo già soffermati su questi aspetti, ma ogni giorno emergono nuove criticità e aspetti che richiamano una maggiore attenzione sugli aspetti della complessa questione: il furto dell’anagrafe del Comune di Marentino da parte di hacker in Piemonte è significativo. Ogni azienda che deciderà per lo smart working non potrà prescindere da una attenta e rigorosa revisione di tutte le sue Privacy Policy.

 




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